E quindi uscimmo a riveder le stelle 2018-07-18T11:49:20+00:00

E Quindi Uscimmo a Riveder le Stelle

Galleria dello spettacolo

Drammaturgia: Federica Scappa
Regia: Pedro Tochio

Trama

E quindi uscimmo a riveder le stelle” è uno spettacolo nato dalla ricerca di nuove forme di comunicazione scenica attraverso metafore visive e sonore, il cui obiettivo è quello di denunciare, attraverso l’efficacia delle immagini, frammenti di situazioni in cui l’uomo si trova per costrizione a vivere un destino non suo: la Guerra.

È l’ipotetico incontro tra un bambino soldato odierno e un malato di mente della Germania nazista: un incontro tra vittime dell’odio e della violenza tra gli esseri umani diverse per tipologia, epoca storica e posizione geografica, un incontro che può concretizzarsi solamente attraverso la magia del teatro.Gli spettatori distribuiti sui quattro lati disegnano la scenografia dello spettacolo,simboleggiando sguardi sulla storia finalmente privi di paraocchi. Una bambola, dal sorriso freddo e distante, si prepara a raccontare la storia, mentre un disabile psichico gioca e aspetta…Svelata una prima verità, la bambola stessa si trasforma e danzando diventa un soldato, un bambino soldato. La guerra è per lui un crudele gioco, in cui c’è “solo una regola da seguire: uccidere o essere uccisi”. E con la ragione annebbiata dalle droghe, scarica tuttala sua rabbia sul disabile, dando voce a quella violenza che appartiene ad ogni epoca storica, fino ad arrivare alle torture nelle prigioni di Abu Ghraib. Momenti di speranza, di rassegnazione, di consapevolezza si susseguono in scena, fino al punto in cui uno dei due salverà l’altro: l’identità che trascende la normalità è capace dimettersi in gioco ed offrire la sua vita per aiutare la parte della popolazione mondiale che soffre le conseguenze di guerra e violenza.

Link al trailer

La Recensione

di Ivano Capocciama – Regista e ricercatore teatrale

E quindi uscimmo a riveder le stelle trascrive, nella propria ricezione, un reticolato di energia intorno a cui le azioni degli attori divengono tracce di un meccanismo “alchemico” ove il sudario frammentato delle parole s’incastra con i corpi creando, nell’economia del rito, una blasfemia semantica di straordinario valore espressivo. Lo spazio frammenta e dilata lo sguardo in regioni in cui la sopravvivenza dei personaggi, anime larvae, sposta il centro d’azione in una danza dello spazio scenico che travalica l’immaginazione e scatena la nemesi. Tutto nasce da un primordio: una coppia di anime sonnolente, saltate fuori da un racconto di fine Ottocento alla Dickens, che si muovono per frammenti di passi e di azioni. I corpi del fool e del jester – clown scandiscono le loro rispettive azioni con fare frammentato e sinistro, all’interno di uno spazio di rimembranza elisabettiana. L’incipit della vicenda narrata, l’introitus mortis di buio e frammenti, crea nella mente dello spettatore un reticolato di coppie, doubles di shakespeariana memoria: il Clown e il Folle,Ariel – Caliban, Iago – Cassio, Yorick -Amleto, Falstaff – Enrico V, Mercuzio –Romeo. L’incedere scanzonante dei due personaggi spalanca i battenti di una doppia natura retorica dell’azione: la truculenza degli arti del Folle e la grazia sospesa della Bambola – Clown. All’interno della straordinaria forza espressiva dell’incipit, concertata in tale dualità fisica, la storia si dipana come un’immagine acustica che, di rimando ad alcuni studi di Rudolph Arnheim, agisce come se fosse generata da una radio scassata ed abbandonata, da qualche parte, in un vicolo berlinese. La musica, all’interno dello spettacolo, si comporta come memoria storica e spettro metanarrativo che manipola i corpi dei personaggi concentrandoli, tirannicamente, in un’eccentricità del gesto che cita Mejerchol’d e Decroux.Foto Recensione La struttura fisica de E quindi uscimmo a riveder le stelle viaggia sul binario delle memorie infantili legate al circo, allo “spettacolo minore” e al Gran Teatro della immaginazione: un universo caleidoscopico che declina la visione dello spettatore ad un passato antico di cui si son smarrite tracce e memoria; la danza dei personaggi traghetta verso il dietro della coscienza, presso quella zona oscura di cui parla Stephen King che,spesso, si cerca di raggiungere attraverso il sogno o l’incubo. Lo spettacolo messo in scena dal Teatro Alchemico segna una poetica del dietro, una focalizzazione introspettiva verso ciò che l’età adulta ha represso dall’esperienza sensibile di ogni singolo individuo; fortunata è quella commozione disarmante che scaturisce dal ritorno e dalla memoria. Lo spettacolo, per tal ragione,subisce il deragliamento emotivo di due diverse esibizioni del tempo: da una parte la memoria legata al passato infantile e bambino, dall’altra il ritorno ovvero quel punto di contatto tra passato e presente di cui la musica è Acheronte e Storia. A questo punto spicca la necessità di domandarsi:di cosa si fa memoria?, cosa ritorna? La risposta a tali interrogativi sta nella relazione tra i personaggi. La memoria vive nella loro distanza,nelle loro azioni quotidiane, nella disperata reiterazione di gesti continui, assordanti, da fabbrica: il marciare del bambino soldato, i movimenti delle dita del Folle mentre ingurgita del cibo. Il ritorno, invece, è il vero segreto dello spettacolo poiché vive nell’incontro tra i due: è proprio in questa frizione che i personaggi divengono l’uno l’immagine speculare dell’altro in un continuo gioco di scambi, ambivalenze e virulente contaminazioni reciproche. L’incontro segna un contagio di azioni, gesti, parole, pulsioni, violenze. Nella simbiosi tra le loro esistenze sembra passare solo un debole filo di vita di cui gli oggetti divengono fredde e limpide metafore“elementari”: fuoco (la torcia), acqua (il secchio), aria (il filo invisibile su cui è appeso l’ombrello),terra (le scarpe dei cadaveri). Accanto a questa reificazione degli elementi naturali, di contrappunto, a dipanare il filo di vita che intercorre tra i due personaggi nel momento dell’incontro vi sono altri oggetti che “chimicizzano” e catalizzano i destini dei due protagonisti: le pillole, i soldatini.Il dualismo retorico iniziale tra truculenza e grazia è costante in tutta la diacronia della messinscena in cui la cristica sublimazione del destino giunge a purificare l’incontro, e quindi il ritorno – il presente – in una dimensione evangelica di cui i quattro elementi naturali sono linguaggio assoluto. Dal filo invisibile da cui penzola l’ombrello, che sembra rammentare certe atmosfere di Magritte o Dalì, all’accumulo delle scarpe che grida: “Auschwitz!”, la storia si tinge di una sintesi cristica che nella citazione pasoliniana: “Ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato!” trova la propria celebrazione. E quindi uscimmo a riveder le stelle non è solo la storia di due poveri cristi in viaggio verso la conoscenza o la catarsi ma lo spettacolo, nella declinazione del dualismo tra memoria e ritorno, diviene un poema a gesti sul tempo, sul destino del tempo e sul confine invalicabile tra presente e passato: un tramonto pietoso sulle miserie umane.